Quando ammazzarono i precari

Ogni libro per me è un’emozione e un viaggio. Viaggio all’interno di una vita, viaggio nel tempo e nello spazio. Viaggio nella mente di protagonisti e scrittore.
In questo caso l’emozione è stata più intensa e scriverne è un po’ più complicato, perché lo scrittore non è un’entità estranea, da immaginare. Una foto sulla quarta di copertina. 
Questa volta lo scrittore lo conosco, amico del mio moroso, amico della compagnia in cui sono entrata nel momento stesso in cui ho messo piede per la prima volta al solito bar, della solita via. Non posso dire di conoscerlo bene, anche usare la parola amico è forzato, perché lui ormai vive lontano e non ci si frequenta, se non in rare occasioni.
Però, insomma, non è come un Hemingway qualunque J
E qui si fa subito chiaro che quello che scriverò non sarà del tutto obiettivo. Però ci provo. In effetti chi mi conosce sa che non sono il tipo di persona da addolcire il pensiero. E una dote che chiunque mi riconosce è la schiettezza. Perciò, eccomi qui.

Questo libro è un viaggio all’interno di una generazione e di ciò che è capitato a questa generazione. Un viaggio dentro la mia generazione. Nata a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, ha vissuto la fine di ogni certezza. La fine della certezza di un mondo diviso in bianco / nero, buono / cattivo. La fine della certezza di un posto fisso (diciamo anche di un posto e punto) e con essa la certezza di poter programmare il proprio futuro. Di poterlo anche solo immaginare.
E allora si lotta, ma non è più come una volta, la lotta ormai è complicata perché non c’è più un nemico riconoscibile, facile. I confini si fanno sempre più labili, e il mondo si riempie di grigi. Fino ad arrivare a farci sembrare di non avere voce, non poter urlare il nostro pensiero, o urlarlo pensando / temendo che nessuno lo capisca.

Ma questo libro non è, come si potrebbe pensare (dal titolo o da quello che ho scritto) per niente un mattone filosofico, un compendio dove l’ennesimo tuttologo di turno ci racconta la società dall’alto del suo pulpito.

Il libro è un romanzo, divertente, irriverente, pensante.
Il racconto, a tratti fantascientifico a tratti reale e crudo, fa soprattutto sorridere (certo, a volte è un riso amaro ma pur sempre un riso). E attraverso la risata si riflette. Il contesto storico è preciso, atto a raccontare il passaggio da “lavoratore – tradizionale” a “precario – cronico”, tipico di chiunque veleggi intorno ai 30 anni. E la realtà si mischia con la finzione, la fantascienza, il thriller, il noir. Si ride e si pensa.

La presa di coscienza iniziale non facile, l’adattarsi, il destreggiarsi e, infine, il ribellarsi. In un susseguirsi di realtà e finzione letteraria.
Bello. Davvero bello.


Ed. Lorusso 
P. 172  - € 10,00

Consigliato a chi: fa parte di questa generazione, la vuole capire e vuole capire che piega sta prendendo il mondo. E anche a chi, semplicemente, vuole leggersi un bel libro.   

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